Il Primo e
l’Ultimo, la piu’ bella pagina della XXX° Olimpiade

l suo sogno
l’ha avuto. L’ha desiderato con tutto il cuore, l’ha strappato con le unghie e
coi denti e infine l’ha ottenuto. In lista coi normodotati, quelli con le gambe
tutte intere. Nella squadra del Sudafrica, nella batteria dei 400m piani, la
sua specialità. Corre, Oscar, corre fino alla semifinale. E arrivato lì, corre
ancora. Alla seconda frazione, arranca già e temo il peggio. Temo possa
fermarsi. Invece no: onora fino in fondo la propria Olimpiade, fatta di sorrisi
e sudore, di battaglie legali, di presunti vantaggi, di carte bollate e di
avvocati, di fiducia nella tecnica ma anche nella costanza dell’uomo. Arriva
ottavo, cioè ultimo nella propria batteria, ma arriva. Porta a termine la sua
gara, Oscar. Sembra quasi frastornato, l’attesissimo sudafricano di vaghe
origini toscane. Taglia il traguardo e si guarda intorno, un po’ confuso: con
un risultato che era già in partenza superiore alle aspettative, non sa che
fare. E, nell’incertezza, rispolvera la sua arma migliore: un gran sorriso,
anche se un po’ provato dallo sforzo; inutile negarlo, l’agonismo e i ritmi
serrati di un’Olimpiade nulla hanno a spartire coi ritmi, la possibilità di
recupero e forse persino la mentalità che caratterizzano una Paralimpiade. Pare
rendersi pienamente conto di tutto questo solo al termine della semifinale dei
400 metri olimpici di Londra, pochi secondi dopo aver concluso l’ennesima.
Contro il tempo, contro i pregiudizi, contro la fissità, contro l’incapacità di
guardare. E se qualcuno pensa che Oscar abbia corso contro qualcuno, basta
guardarlo in faccia per capire che innanzitutto corre per divertirsi. Corre per
avere un’altra chance, sempre una in più. Corre perché ci ha preso gusto: lui
che aveva iniziato solo per recuperare da un infortunio, lui, che giocava a rugby
e pallanuoto!
E, alla fine della sua gara, accade l’inverosimile. Il vincitore torna sui suoi
passi. Kirani James gli si avvicina e, con garbata decisione, esprime anche lui
un desiderio: vuole scambiare la sua pettorina con quella di Oscar. In seguito
spiegherà che ha grande rispetto per Oscar, per lui è soltanto un ragazzo al
pari di tutti gli altri. Sembrano cose dell’altro mondo: il vincitore che
insegue il perdente, l’ultimo della batteria, per averne un souvenir. Credo che
in quest’immagine paradossale sia racchiuso il senso della corsa di Pistorius,
forse frainteso da molti, ma mai dal sudafricano, che fino all’ultimo è rimasto
fedele a se stesso.
Perdente non è chi arriva ultimo, ma chi si siede e guarda gli altri correre.
Questo gli disse sua madre. E a questa legge estremamente olimpica mai
contravvenne il buon Oscar, anche quando chiunque sarebbe stato tentato di
farlo: di fronte al pensiero di sfigurare, di fronte alla possibilità di essere
ultimi in assoluto, i più lenti di tutti. È stato in questa semifinale che
Oscar avrebbe potuto avere un duro colpo. Sarebbe stato comprensibile: spinto
da tanti, inviso ad altri, ma in ogni caso, sempre sotto i riflettori (cosa che
non sempre aiuta). E invece, con la complicità del vincitore, ha firmato ancora
una cartolina olimpica, sottolineando cosa importi davvero.
Ogni atleta sa quali sono le proprie verosimili possibilità, sa quali sono i
propri tempi abituali. Ma sa anche che l’adrenalina olimpica costituisce quel
pizzico d’imponderabile che può sparigliare le carte in tavola. Non c’è
sorpresa nell’eliminazione in semifinale. Ce n’è stata piuttosto – e
giustamente – per l’ammissione ad essa.
Ma vedere vinto e vincitore scambiarsi i ruoli non è stato solo un simpatico
siparietto olimpico: arriva a toccare il cuore stesso dello sport e
dell’agonismo. Superiore a sconfitta e vittoria c’è la prestazione personale,
specie in sport come questi. Lo so, sembra egoistico parlarne in questi
termine, ma è l’unico modo per comprendere meglio cosa significhi. In una
competizione ci si misura con gli altri, in termini assoluti. E quindi, in
termini assoluti si misura chi lancia più lontano, chi salta più in alto o più
in lungo, chi corre più veloce eccetera. Ma la competizione con l’altro non
tiene conto della situazione personale. Per chi a fatica ha raggiunto i tempi
di qualificazione, arrivare in semifinale è soddisfazione non minore di quella
che avrebbe chi, abituato a primeggiare, ottenga una medaglia di bronzo. Non
c’è delusione per chi ha fatto il massimo possibile consentito dalle proprie
forze, in quel preciso momento e occasione. A chiunque fa piacere vincere e
nessuno baratterebbe una vittoria con una sconfitta: ma quando la conclusione
dell’avventura olimpica avviene dopo aver raggiunto il massimo risultato
possibile, non s’incontra frustrazione, perché il cuore è sereno e la coscienza
pulita. Si torna a casa con emozioni nuove, la consapevolezza di poter
migliorare e nuovi stimoli che ti spingono a farlo. E allora, anche un
apparente arresto nella corsa, si rivela solo una necessaria ri – partenza,
verso nuovi obiettivi.
p. s. nella
finale Kirani James vincera’ la medaglia d’oro nei 400 mt. Primo oro assoluto
per la sua terra d’origine: Grenada. Medaglia d’oro anche per quello che ha
fatto e che rende queste olimpiadi piu’ umane e degne dello spirito con cui
tanti anni orsono sono nate. Non tutto e’ finito in questo mondo, occorre saper
tirare fuori il meglio che c’e’ nell’uomo…